Sudafrica: un viaggio inaspettato – Cape Town – tappa 2

4° GIORNO: Hodespruit – Città del Capo

Continuiamo il nostro viaggio in Sudafrica.
Dopo il rientro ad Hodespruit in auto, prendiamo un volo SAA per Johannesburg e di qui, con un volo Fly Safair di un paio d’ore, arriviamo a Città del Capo. Il tempo di sistemarci nel nostro “sobrio” albergo (a tal riguardo potete leggere Sudafrica: istruzioni per l’uso) ed usciamo per un giretto nei dintorni e la cena. Molto avevo letto prima di partire sulla sicurezza nelle grandi città del Sudafrica (maggiori informazioni su Sudafrica: 3 pro e 3 contro) e la zona che ho scelto per l’albergo è una delle più tranquille della città. Siamo nei pressi del Victoria & Alfred Waterfront (non ho sbagliato, è proprio Alfred, il figlio di Victoria, e non il consueto consorte Albert) ed è proprio lì che ci dirigiamo. E’ scesa la notte e ci aggiriamo un pò timorosi lungo le strade poco frequentate, quando veniamo fermati da un poliziotto che ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto. La cosa ci rassicura non poco e dopo un brevissimo tragitto giungiamo a destinazione.

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Il V&A Waterfront è forse una delle principali attrazioni turistiche della città. Si tratta della classica riconversione di un’area portuale dismessa, come se ne vedono in ogni parte del mondo, ma fatta veramente in grande stile. Occupa uno spazio immenso nel quale sono collocati una decina di hotel di lusso, centinaia di negozi, qualcosa come 80 ristoranti di ogni tipo ed anche l’ormai immancabile ruota panoramica. Pur se il tutto è molto suggestivo, soprattutto la sera, si tratta a mio avviso di una specie di Disneyland che non ha nulla di genuino. Nei giorni successivi lo utilizzeremo solo per le cene.

5° GIORNO

Prima di iniziare il resoconto di questa giornata, vorrei spendere due parole sui famigerati Sightseeing Bus, per intenderci, quelli a due piani (col piano alto scoperto) che in ogni capitale propongono giri della città con la formula “Hop-on Hop-off”.
Per lunghi tratti della mia vita li ho snobbati sdegnosamente. Io, che mi sentivo un viaggiatore, li avevo bollati come “roba da turisti”. Da qualche anno, però, forse complice anche l’età, ho cominciato a guardarli sotto un’altra ottica. Li trovo un sistema intelligente, soprattutto quando si hanno pochi giorni a disposizione, per farsi un’idea d’assieme della città che si sta visitando, assumendone inoltre interessanti informazioni dalle audioguide. Il sistema “Hop-on Hop-off”, poi, ti consente di usufruirne come veri e propri taxi per un’intera giornata.
Ovviamente lo abbiamo utilizzato anche a Città del Capo, ed è stato utilissimo dal momento che le distanze tra una parte e l’altra della città sono notevoli.

La prima, doverosa, tappa la effettuiamo alla Table Mountain, vera icona della città, nonché montagna venerata dagli abitanti di Cape Town. Il nostro autobus ci deposita davanti all’ingresso della funivia, della quale avevamo già preso i biglietti online. Operazione che consigliamo vivamente, perché le file sono spesso molto consistenti. Prima di entrare, veniamo immortalati da un fotografo che all’uscita tenterà invano di venderci le foto. Siamo poi convogliati all’ingresso della cabina dove, come mio solito, rimango imbottigliato tra la folla e quando riesco ad entrare mi ritrovo nella parte posteriore dove non vedo assolutamente nulla. Mentre impreco silenziosamente, mi accorgo con mio grande sollievo che il pavimento è girevole e consente a tutti di godere del panorama da ogni angolazione.
Nonostante questo primo assaggio, una volta giunti in cima, rimango letteralmente a bocca aperta. La città e la sua ampia baia si distendono sotto di noi a perdita d’occhio.

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Ma non basta, perché lungo il percorso che si snoda sulla cima piatta della montagna, si possono godere di vedute a 360 gradi fino al Capo di Buona Speranza.
Mentre completiamo il giro, dal basso cominciano a salire delle nuvole con velocità sorprendente, sembra fumo che si innalza da un calderone di acqua bollente. E’ la famosa table cloth, la tovaglia di nubi, come amano dire da queste parti, che per gran parte della giornata ricopre la Table Mountain.

Scesi dalla funivia, riprendiamo il nostro pullman ed iniziamo il giro turistico della città. Sui fianchi della montagna incontriamo splendide ville che l’audioguida ci spiega essere tra le abitazioni più ambite della città. Oltre a godere di una magnifica vista, infatti, sono le più riparate dal vento. Qui a Cape Town spira un vento molto frequente e particolarmente potente ed avere una posizione riparata è uno dei parametri che influiscono maggiormente nel prezzo delle case.

Scesi sulla costa effettuiamo un doveroso “hop-off” a Camps Bay, una località davvero spettacolare. Lunghe spiagge di sabbia bianca, alte palme e ville affacciate sul mare, il tutto incorniciato dalle imponenti montagne alle sue spalle.
Scendiamo in spiaggia dove, nonostante la temperatura non proprio estiva, qualcuno sta prendendo il sole. C’è perfino qualche coraggioso che, indossata la muta, si butta in mare. Dico coraggioso a ragion veduta, in quanto ci hanno spiegato che da queste parti, anche nei mesi estivi, la temperatura dell’acqua non sale mai sopra gli otto gradi ! Se poi questo non bastasse a scoraggiare l’immersione, c’è la non remota possibilità di incontrare qualche gigantesco squalo bianco, molto diffuso in zona…  

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Dopo aver prenotato un ristorante per la cena, facciamo il nostro “hop-on” e riprendiamo il giro in pullman. Percorriamo la fantastica costa che circonda la città con infinite spiagge, cale e calette, palazzi signorili a picco sul mare e chilometrici lungomare. Neanche a dirlo, qui di persone di colore neanche l’ombra, se non qualcuno intento a pulire la strade o i giardini. 

Le persone che incontriamo a passeggiare o a correre sono tutte chiaramente di razza nordica, alte e bionde e parlano un idioma molto particolare nel quale, girando per la città, abbiamo avuto modo di imbatterci spesso. Si tratta dell’afrikaans, l’incomprensibile lingua (a meno che non abbiate dei rudimenti di olandese antico…) dei boeri che, contrariamente a quanto pensavo, qui è forse più parlata dell’inglese. Mentre siamo sul pullman, l’audioguida ci riferisce che una volta un giornale americano la definì la lingua più brutta del mondo. Cosa ne penso? L’hanno detto loro…

La prossima fermata la facciamo a BO-KAAP, l’antico quartiere degli schiavi malesi. Fu infatti costruito a partire dalla fine del 700 per ospitare schiavi provenienti prevalentemente dalla Malesia. Il quartiere poi attrasse altre popolazioni musulmane e sorsero diverse moschee.
Le case, originariamente tutte bianche, furono dipinte dagli abitanti con colori sgargianti per manifestare la loro ricerca di libertà nell’unico modo che avevano a disposizione.

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Neanche a dirlo, Bo-Kaap è il quartiere più fotografato della città. Ed è assolutamente tranquillo, anzi, i suoi abitanti, ormai abituati alla presenza dei turisti, sono amichevoli e pazienti.
Da alcuni anni Bo-Kaap è oggetto di un fenomeno di gentrification e giovani benestanti stanno acquisendo molte delle villette che compongono il quartiere.

Il quartiere non è molto grande ed è rilassante fare una passeggiata a zonzo per le sue stradine, abbagliati dai colori brillanti che risplendono illuminati dal sole.

Ci fermiamo a contrattare l’acquisto di alcuni animaletti realizzati in fil di ferro e perline che un ragazzo vende ai bordi della strada. Ne compriamo due convinti di avere fatto un acquisto originale ed unico, ma ovviamente troveremo gli stessi identici animaletti in ogni bancarella di Città del Capo e dintorni…
A questo riguardo, bisogna dire che i manufatti artigianali (o almeno, così definiti) che abbiamo trovato in Sudafrica sono molto standardizzati. Ogni negozietto o bancarella, vende praticamente le stesse identiche cose di tutti gli altri e per trovare qualcosa di veramente originale bisogna girare molto.

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Terminata la visita siamo pronti a proseguire il nostro giro. Prossima tappa, il Waterfront. Ci abbiamo fatto un salto ieri sera ed oggi vogliamo dargli un’occhiata di giorno.
Questa volta però abbandoniamo il nostro pullman e decidiamo di arrivarci a piedi. Vogliamo infatti passare a dare uno sguardo al centro storico di Cape Town, il quartiere che si sviluppa attorno a Greenmarket Square e Long Street.
La piazza, riportata da più fonti come un sito imperdibile, in realtà non rimarrà tra i miei ricordi indelebili di Città del Capo. Ospita un grande mercatino delle pulci che si allinea perfettamente al commento appena espresso sui manufatti artigianali che vi si vendono.

Il mercatino delle pulci di Greenmarket Square
Long Street invece, pur non potendo essere definita bella, ha un suo fascino, come dire, decadente. E’ sicuramente la parte più sudafricana della città. I suoi bei palazzi vittoriani con balconi in ferro battuto, letteralmente fagocitati dalle costruzioni più moderne, ospitano per lo più negozi di basso livello. Mendicanti ed ubriachi vagano tra i turisti e le persone, di ogni etnia, che vanno e vengono dal lavoro o, più semplicemente, oziano buttati in qualche angolo. La cosa sorprendente è che in questo scenario di grande vitalità, ma non certamente elegante, si aprono qua e là boutique raffinate e negozi di pregio. Sono facilmente riconoscibili perché hanno un cancello in ferro a chiudere l’ingresso che, come le nostre gioiellerie, aprono di volta in volta su richiesta.
Anche se noi abbiamo passeggiato a lungo in tutta tranquillità, questo particolare la dice lunga sulla sicurezza che vige in questa zona, soprattutto col calare delle tenebre.

Superata Long Street attraversiamo il centro direzionale e finanziario, zona di moderni ed anonimi palazzoni di uffici che ospita anche un gigantesco centro congressi, ed arriviamo al V&A Waterfront.
L’impressione che ne avevamo avuto ieri sera viene confermato in pieno dalla visita diurna. L’operazione è impressionante per dimensioni e ben riuscita dal punto di vista estetico, ma appare più come un gigantesco luna park piuttosto asettico ed avulso dal resto della città.

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Ci passiamo un paio d’ore, approfittandone per mangiucchiare qualcosa al V&A Food Market, una vecchia centrale elettrica riconvertita in mercato del cibo, dove decine di stand propongono piatti tipici e street food. 

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Le statue dei dei vincitori Sudafricani del Nobel per la Pace: Lutuli, Tutu, de Klerk e Mandela

Dopodiché, visto che siamo in zona, ne approfittiamo per visitare lo ZEITZ MOCAA – Museo di Arte Contemporanea Africana, e qui Miriam va in sollucchero. Si tratta infatti di un interessantissima opera di riconversione industriale realizzata dall’architetto T. Heatherwick, quello del controverso Vessel edificio-scultura appena inaugurato a New York (maggiori informazioni in merito nel post New York: la High Line), che ha trasformato un silo per il grano in una struttura impressionante che, oltre al museo, ospita il migliore hotel di Cape Town, il 5 stelle The Silo.

Il tempo di andare in hotel per cambiarci e torniamo a Camps Bay per la cena. E qui lasciatemi spendere due parole su un servizio che la gran parte di voi conoscerà bene: UBER. Avevamo già avuto modo di utilizzare questo servizio negli Stati Uniti, così abbiamo voluto provare anche qui in Sudafrica. Il risultato è stato al di sopra delle nostre aspettative. Massima puntualità, massima affidabilità e risparmio di spesa più che significativo.
A Camps Bay ceniamo all’ Ocean Blue, ristorante di pesce con qualche piatto di carne. Niente di trascendentale, ma pesce fresco ed abbondante a prezzi nella media.

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6° GIORNO

Questa giornata abbiamo deciso di dedicarla interamente all’esplorazione della Penisola del Capo. Confortati dalle ottime recensioni, decidiamo di affidarci a Baz Bus, una società specializzata nell’organizzazione di tour ed escursioni. Certo, a giudicare dalle foto del sito, il target sembra piuttosto giovanile, ma l’importante è sentirsi giovani dentro… e poi era l’unico che ci veniva a prendere davanti all’hotel. Come previsto, i nostri compagni di viaggio potrebbero essere nostri figli e vengono da ogni parte del globo, ma la guida è decisamente più matura e ci relazioniamo da subito con lui. Ci spiega con molti interessanti dettagli ciò che vediamo durante il percorso, che si snoda lungo la costa a sud di Cape Town.
La prima tappa la effettuiamo ad Hout Bay Harbour, un pittoresco porticciolo da dove partono delle escursioni in barca per andare a vedere una colonia di leoni marini. Di leoni marini negli ultimi anni ne abbiamo visti parecchi, quindi decidiamo di non partecipare e ci aggiriamo per il mercatino allestito sulle banchine del porto.

Affrontiamo quindi la spettacolare Chapman’s Peak Drive, lungo la quale ci fermiamo in un punto panoramico dove la nostra guida allestisce un gradevole rinfresco di metà mattina.
Ripreso il percorso, tagliamo la penisola per sbucare a Muizenberg Beach, una bella spiaggia sulla False Bay, famosa per le sue cabine colorate. Per la verità di cabine ce ne sono solo una ventina, ma l’effetto cromatico è assicurato. 

Chapman's Peak
Muizenberg Beach
Risaliti sul pullmino, ripartiamo alla volta di una delle tappe più affascinanti della giornata: Boulders Beach. Nota in tutto il mondo come la spiaggia dei pinguini, questa caletta incastonata tra le rocce è divenuta per qualche strano fenomeno naturale un habitat ideale per una nutrita colonia di piccoli pinguini africani, specie sull’orlo dell’estinzione.
La storia è singolare: nel 1982 una coppia di questi animali nidificò fra i massi di granito e da allora, anche grazie alla tempestiva opera di protezione dell’area,  i pinguini si sono moltiplicati fino a raggiungere i circa 3.000 esemplari attuali.

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Per entrare nel sito bisogna pagare un biglietto di ingresso, ma si può anche evitarlo e vedere i pinguini da più lontano. Personalmente credo che stare a pochi centimetri da questi simpatici animaletti valga tutto il prezzo del biglietto. Pare pensarla allo stesso modo anche Miriam che fatico non poco a portare via mentre il pullmino sta per ripartire.

Ancora una trentina di chilometri ed arriviamo al Parco Nazionale del Capo di Buona Speranza. Il pullmino si deve fermare in uno spiazzo davanti all’ingresso della funivia che porta al vecchio faro ed una volta scesi possiamo decidere se optare per la salita al faro (a piedi o in funivia) oppure la discesa al capo. Mentre il nostro gruppetto, assieme ad un più folto gruppo di un pullman appena arrivato, si dirige in massa al faro, noi decidiamo di affrontare subito il lungo percorso per il capo.

Prima di partire, la nostra guida ci avverte di fare molta attenzione perché la zona è abitata da una nutrita colonia di babbuini piuttosto aggressiva. Abbiamo già avuto in India un incontro con questi animali e sappiamo di cosa sono capaci, quindi svuotiamo le tasche da qualsiasi genere di cibo che potrebbe indurre ad una aggressione e partiamo. 

Il percorso è a dir poco spettacolare. Rasenta altissime scogliere che si innalzano sopra a calette sabbiose di rara bellezza. Quando il terreno non consente il passaggio, lunghe passerelle di legno aiutano a compiere il tragitto. La temperatura è fresca, ma man mano che si avanza nel percorso, le prime gocce di sudore cominciano ad imperlare la fronte. E quando la strada inizia a salire, anche la schiena.
Io e Miriam ci liberiamo gradualmente degli indumenti ed intanto tutti quelli che avevamo lasciato in fila per la salita al faro, cominciano a raggiungerci alla spicciolata. Prima i più giovani ed atletici, poi gli altri. Non gli prestiamo particolare attenzione, ma quando una coppia di coetanei di 100 chili pro capite ci si pone davanti, l’orgoglio prende il sopravvento ed ingaggiamo una penosa gara a chi arriva per primo in cima. Sulla rampa finale riusciamo a distanziarli, ma lo sforzo mi costa una sudata colossale e l’arietta gelida che ci accoglie sulla vetta non promette nulla di buono per la mia schiena.

Una volta giunti in cima, l’amara sorpresa. L’arrivo del percorso non è qui. Bisogna ridiscendere dal lato opposto attraverso una ripida discesa. Ed inoltre tutto il nostro gruppo è già giù ad aspettarci.
Ci affrettiamo lungo la discesa, ma una volta giunti dinnanzi al mitico cartello del Capo di Buona Speranza, decido di prendermi tutto il mio tempo. Che gli altri aspettino qualche minuto, io devo godermi questo momento. E mentre mi appoggio al cartello di legno sento dentro di me la felicità del Lucky ragazzino che mi ringrazia per aver fatto avverare uno dei suoi sogni (leggi anche Sudafrica: gita al Capo).

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7° GIORNO

Ultimo giorno a Città del Capo, avevamo in programma di andare a visitare Robben Island, l’isola prigione dove fu rinchiuso Nelson Mandela, ma online i posti erano esauriti. Non ce la siamo sentita di passare ore all’imbarco nell’attesa che qualcuno rinunciasse, quindi abbiamo prenotato per il pomeriggio, sempre online, un breve tour nella township di Langa con Siviwe Tours.

Questa mattina invece visiteremo il quartiere emergente di Woostock. Un tempo sede di magazzini e fabbriche, oggi Woodstock sta rinascendo per mezzo di spazi industriali ristrutturati, atelier di artisti, boutiques di stilisti indipendenti e studi di design.
Vi arriviamo in pochi minuti con Uber e ci immergiamo subito nella sua atmosfera un pò bohemien. L’impronta postindustriale del quartiere è ancora forte ed è divertente scovare i suoi negozietti in mezzo alle carrozzerie ed alle falegnamerie. Merita senz’altro una visita l’ Old Bisquit Mill, ex fabbrica di biscotti, ora spazio polivalente con negozi di design niente male.

L'Old Bisquit Mill

Mentre Miriam impazzisce nel suo shopping, finalmente con prodotti originali ed insoliti, l’appassionato di street art che c’è in me, si fa prendere dalla perlustrazione delle stradine laterali, dove si può ammirare un campionario di opere non indifferente.
Un pò per pranzare ed un pò per liberarci di un gentile signore completamente ubriaco che non ci molla da diversi minuti, entriamo nel The Woodstock Exchange, altro spazio industriale riconvertito in centro polivalente. In un baretto bio al suo interno, ci mangiamo degli ottimi panini accompagnati da centrifugati di frutta. Quindi riprendiamo il nostro Uber per tornare in hotel, dove ci verranno a prendere per il tour nella township di Langa,

Interno del The Woodstock Exchange

Il pullmino dell’operatore da noi scelto arriva puntualissimo ed una giovane e gentile ragazza ci fornisce le prime utili informazioni durante il tragitto. Si tratta di una laureata che ha deciso di restare ad abitare nella township dove lei e la sua famiglia sono sempre vissuti ed ora accompagna i turisti per far provare in prima persona agli stranieri una realtà che pochi conoscono.
A Langa si possono fare foto, ma io decido di non farne perché mi sento un pò a disagio nel puntare la macchinetta verso gente che vive in situazione di difficoltà. Quindi le immagini che ho usato sono tratte dal sito dell’operatore.

Nessuno sa con precisione quante persone vivano nella township di Langa, ma sicuramente tra le centocinquanta e le duecentomila, la gran parte delle quali in baracche di legno e lamiera senza alcun servizio. Ne visitiamo una e poi una specie di bar, dove beviamo una birra prodotta artigianalmente dalle donne del posto. 
La nostra guida ci fa conoscere la povertà, ma anche l’umanità di questa gente. Tutti sono sorridenti ed amichevoli ed i bambini ci attorniano dovunque.
Nonostante la miseria, sembrerebbe che la vita scorra serena, ma la guida ci riporta alla realtà. Nelle township la delinquenza dilaga, soprattutto a livello di gang giovanili. Qui a Langa un pò meno perché c’è un forte senso di appartenenza e vige una sorta di autocontrollo, anche se la sera è meglio non aggirarsi per le sue strade. Ma non si muore solo ammazzati, si muore per gli incendi che devastano periodicamente le baracche di legno e si muore per le malattie provocate dalle scarse condizioni igieniche. Si muore di AIDS, per il dilagare della droga e per l’assoluta mancanza di precauzioni sessuali.

Ma Langa è un posto dalle mille anime e allora trovi anche belle villette, dove abitano quelli che ce l’hanno fatta. Hanno studiato e si sono elevati economicamente, ma non hanno voluto abbandonare la loro città. Perché Langa non è un quartiere, ma una città vera e propria. Una città che pare arrivare da un futuro distopico, ma che invece appartiene ad un presente che è una spina nel fianco del moderno Sudafrica. 

Le due ore del nostro giro volano veloci e dobbiamo riprendere il mezzo che ci riporterà in albergo. Con le immagini della township ancora negli occhi, chiudiamo il circolo delle contraddizioni di questo paese incredibile consumando la nostra ultima cena al V&A Waterfront, tempio consacrato ad una ricchezza irraggiungibile per quella metà della popolazione sudafricana che vive oggi sotto la soglia di povertà.

Il nostro inaspettato viaggio in Sudafrica è terminato. La mattina successiva riprendiamo il nostro Uber per l’aeroporto (alla metà del prezzo del taxi dell’andata) e voliamo su Johannesburg, dove riprendiamo l’aereo per Roma.

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