In Messico per tornare giovani

Giorni fa, rimettendo in ordine delle vecchie diapositive (ebbene si, una volta le foto si facevano con le diapositive), mi sono capitate fra le mani quelle di un viaggio in Messico effettuato ai primi degli anni duemila.

Perché  lasciare nell’oblio queste vecchie foto e, in questo periodo di fermo, non ricordare con nostalgia anche un viaggio lontano nel tempo?

La decisione di fare un salto al caldo era maturata in una grigia e fredda giornata invernale, durante una svogliata partita a tennis nella quale io ed il mio amico Marco ci chiedevamo come mai da quando eravamo sposati non riuscivamo più a fare un viaggio all’avventura come quelli di una volta.
Convincere le mogli non era stato facile, ma eccoci qui, davanti all’aeroporto di Fiumicino, in vestiti estivi (per risparmiare spazio in valigia)… sotto la neve.

CITTA’ DEL MESSICO (DF)

Arriviamo a Città del Messico (o DF – Districto Federal, come la chiamano qui) che è pomeriggio inoltrato e dopo un maniacale controllo doganale, decidiamo di prendere un “taxi seguro” per arrivare in albergo.
Sull’aereo ci hanno spiegato che si tratta di un servizio alternativo ai taxi ufficiali (verdi e gialli), un po’ più costoso, ma più sicuro (non per niente lo chiamano così). Pare infatti che sui taxi a tassametro ogni tanto capitino degli sgradevoli ‘incidenti’ con i turisti (rapine, sequestri, insomma, robetta da poco…).
La prima sorpresa che ci accoglie all’esterno dell’aerostazione è il parco macchine che ci troviamo davanti: sono tutti “maggiolini” della Volkswagen! Sembra di essere tornati negli anni settanta.

Il nostro autista è in vena di conversazione, così, dopo aver esaurito tutti gli stereotipi sull’Italia (cibo, donne, calcio e musica) ne approfittiamo per chiedere qualche informazione in merito a quanto abbiamo letto sulla pericolosità della città prima di partire.
“Beh, la delinquenza c’è – ammette lui – ma è un problema di qualsiasi grande città”.
“Voi italiani poi dovreste esserci abituati. Non avete la mafia?”.
Questa affermazione mette una pietra tombale sulla conversazione, e per il resto del viaggio ascoltiamo in silenzio una cassetta di Eros Ramazzotti che il nostro amico intanto a messo a tutto volume.
Tra parentesi, il nostro cantante, assieme a Laura Pausini è la colonna sonora fissa in tutto il Messico.

TEOTIHUACAN

Causa fuso, alle quattro di mattina siamo già inesorabilmente svegli, così verso le sei decidiamo di uscire per cercare un bar dove fare colazione. Le strade sono deserte e lungo il percorso veniamo accompagnati dagli “hola chico” delle senoritas ai bordi delle strade, unica presenza umana.
Di bar aperti neanche l’ombra, quindi prendiamo una drastica decisione: anticipare ad oggi la visita a Teotihuacan che avevamo previsto per il giorno successivo. Ci facciamo quindi indicare in albergo la stazione degli autobus che, viste le distanze medie di questa grande metropoli, non è molto lontana. E’ comunque necessario prendere un taxi. A quest’ora la temperatura è ancora accettabile e il cielo è velato da una nebbiolina persistente.
“Non è nebbia, è smog” ci fredda l’autista del taxi.

La stazione degli autobus è, volendo utilizzare una metafora, davvero pittoresca. Nonostante l’ora, c’è una quantità impressionante di gente di ogni tipo. Per lo più contadini dai tratti marcati e dai vestiti variopinti, stracolmi di mercanzie. Occidentali pochi.
Una volta assodata la corsia di imbarco, ci sediamo rilassati ad aspettare ed ho il tempo di osservare meglio alcuni manifesti che sulle prime avevo scambiato per pubblicità. Una volta inforcati gli occhiali, capisco che si tratta di avvisi per dei ricercati. Di quelli che avevo visto solo nei film western. Distinguo parole inquietanti quali: assassino, pericoloso, taglia …
Per fortuna l’arrivo del pullman distoglie la mia attenzione, ma una volta saliti a bordo, mi assale una nuova preoccupazione. L’automezzo non è certo l’ultimo modello, ma ciò che mi inquieta è il parabrezza, che riporta una vistosa crepa su un lato, con diramazioni che si  inoltrano, come fiumi su una carta geografica, lungo tutto il vetro. Spero che l’altarino fatto di madonnine, lumini, e tendine ricamate, che l’autista ha allestito sul ripiano portaoggetti del suo automezzo, ci protegga durante il viaggio.

Giungiamo a Teotihuacan che il sito è ancora chiuso e nella mezz’ora che ci separa dalla sua apertura ci aggiriamo tra le miriadi di negozietti di souvenir e paccottiglia varia, quasi tutti chiusi, che affollano la zona antistante l’ingresso.
Quando finalmente il cancello si apre, ad entrare siamo soltanto una decina di persone. I pullman con il grosso dei turisti, infatti, non sono ancora arrivati e per una buona ora e mezzo ci godiamo una beata solitudine. 

Il sito è immenso e splendido nella sua grandiosità e camminare tra le sue strade deserte dona una emozione fortissima che non pensavo di provare.
Saliamo sulla cima della Piramide del Sole da dove abbracciamo con lo sguardo tutta l’area. Il silenzio è impressionante e coinvolgente.

Le piramidi sono molto alte e, forse complice l’altitudine (siamo pur sempre a 2.300 metri…), faccio un pò di fatica a scalarla. Per fortuna i gradini sono abbastanza ampi, perché soffro molto di vertigini e provo sempre un certo disagio con le altezze.
Purtroppo, dall’alto vediamo l’arrivo dei primi pullman e, per non farci raggiungere, ripartiamo con la visita a spron battuto.

All’uscita del sito veniamo investiti dal primo attacco di venditori ambulanti e per liberarci compriamo dei tagliacarte di ossidiana anche abbastanza carini.
Durante il viaggio, colti da inusuale follia, acquisteremo una serie impressionante di oggetti, suppellettili, dipinti e persino alcuni tappeti assolutamente inutili, che ho ancora stipati dentro un armadio in garage.

Rientrati in città ci immergiamo nella scoperta di questa immensa metropoli. Sulle colline che attorniano il centro abitato, vediamo le sterminate favelas che la sera prima, causa oscurità, non avevamo notato.
Partiamo dal centro storico e non possiamo che iniziare dalla Plaza de la Constitucion, meglio conosciuta come lo Zocalo, l’immensa piazza costruita sulle rovine dell’antica Tenochtitlàn azteca.
Qui tutto è sovradimensionato, la piazza è una delle più grandi del mondo, la cattedrale è una delle più grandi del mondo, persino la bandiera che sventola al centro della piazza è una delle più grandi del mondo (misura 30 metri per 20…).  

Tutto il lato est della piazza è occupato dall’imponente facciata in stile coloniale del Palacio National. Vale una visita per apprezzare i murales di Diego Rivera.
Appena dietro la piazza si possono ammirare i pochi resti rimasti dell’antica città azteca, le rovine del Templo Mayor. Davvero poca cosa, pensando allo splendore di Tenochtitlàn così come ce la raccontarono gli storici spagnoli dell’epoca.

Continuiamo la visita dirigendoci verso il Palacio de Bellas Artes, capolavoro art noveau patrimonio UNESCO, sede del Teatro dell’Opera e Museo delle Belle Arti.
Proseguiamo per il Paseo de la Reforma, una elegante viale in stile parigino fiancheggiato da palazzi moderni.
Superata la Colonna dell’Indipendenza, ci inoltriamo nel parco di Chapultepec dove visitiamo lo splendido Museo Nazionale di Antropologia, ricolmo di manufatti Maya e delle civiltà precolombiane.

Per cena vorremmo fare un salto in Piazza Garibaldi, dove abbiamo letto che si radunano i gruppi di Mariachi ad allietare il pubblico in attesa di venire assoldati per qualche festa o compleanno.
La delusione però è forte. In un ambiente squallido e poco raccomandabile (anche se ho letto che al momento è oggetto di riqualifica), qualche gruppo scalcinato cerca di attrarre i pochi turisti in ristoranti trappola.
Torniamo quindi nel vicino centro storico dove ci infiliamo in un locale tradizionale senza infamia e senza lode.

MERIDA

Il volo per Merida è a dir poco avventuroso. Non essendo riusciti a trovare un volo diretto, siamo stati costretti a fare uno scalo a Veracruz, dove abbiamo dovuto attendere la coincidenza in un aeroporto invaso da fameliche zanzare. Finalmente, dopo quasi quattro ore di viaggio, arriviamo a destinazione.
Per fortuna la cittadina è molto gradevole e nella piazza principale sembra che sia in programma una qualche festa perché è completamente addobbata con festoni e ghirlande colorate.

Prendiamo alloggio in un delizioso alberghetto in pieno centro. Sistemato in un antico palazzotto con un bel patio al suo interno ed arredamento in stile coloniale. C’è anche una piccola piscina ai bordi della quale faremo colazione.
Il centro storico è molto pittoresco e lo giriamo in lungo ed in largo. Case coloniali dipinte in colori pastello si susseguono a piazzette alberate.
Nel pomeriggio andiamo a prendere possesso dell’automobile che abbiamo noleggiato per il nostro giro nello Yucatan e non poteva che essere uno splendente “maggiolino” rosso fuoco.
La sera ci buttiamo tra la folla che riempie la piazza principale e ceniamo assaggiando lo street food proposto dalle numerose bancarelle.

UXMAL

Di prima mattina, con temperature ancora accettabili, partiamo per il nostro tour dello Yucatan. Non salivo su un maggiolone da un decennio ed avevo dimenticato quanto fosse spartano.
La nostra prima tappa è il sito archeologico di Uxmal e la strada che dobbiamo affrontare è di una monotonia sconcertante. Chilometri e chilometri di nulla. Un infinito rettilineo la cui unica variazione è l’altezza della vegetazione che lo costeggia. Per evitare delle fatali distrazioni, le rare curve sono segnalate con appositi cartelli.

Sono sempre stato appassionato dalla storia delle civiltà precolombiane e trovarmi davanti alla gigantesca Piramide dell’Indovino è una grande emozione.
Dall’alto dei suoi 30 metri (che detto così possono sembrare pochi, ma si tratta di un palazzo di 10 piani…) domina su tutto e salirvi è d’obbligo.

E qui sorgono i primi problemi (almeno per me). Ho già parlato delle mie vertigini e l’ascesa al colosso è resa ancora più paurosa dall’incredibile ripidità della scalinata e dalla ristrettezza dei gradini (sufficienti solo per metà del piede). Per fortuna c’è una catena alla quale ci si può reggere durante l’ascesa, per dare almeno un minimo di stabilità e sicurezza.  
Mi faccio coraggio ed inizio la scalata imponendomi di non guardare mai sotto di me. Arrivo zuppo di sudore e quando mi volto per guardare dall’alto il percorso fatto, per poco non mi viene un colpo.
“Come faccio ora a scendere?”
Rimando il problema a dopo e mi godo l’incredibile panorama.

Il sito è molto grande e ci sono diverse strutture in ottimo stato di conservazione. Tra tutte spiccano il Quadrilatero delle Monache ed il Palazzo del Governatore.
Dopo diverse ore di visita, peraltro con un caldo che comincia a diventare piuttosto impegnativo, ripartiamo alla volta di Chichen Itza, dove abbiamo intenzione di passare la notte.

Lungo il percorso ci fermiamo a mangiare qualcosa a Teabo, uno dei rari paesini incontrati lungo la strada, che pare uscito da uno “spaghetti western”.
Poche case basse attorno ad una piazzetta porticata e nessuno in giro. E’ ora della siesta

La piazzetta di Teabo

Sotto una fatiscente capanna, mangiamo il miglior pollo alla brace della nostra vita, cucinato su una griglia improvvisata.
Fatta prendere aria al nostro infuocato maggiolone, riprendiamo il cammino nella piatta monotonia della strada yucateca.
A tal proposito, è bene fare un cenno ad una insidia che periodicamente si presenta lungo il percorso. Si tratta delle mitiche topas, dei dissuasori esageratamente alti segnalati da cartelli, posti pochi metri prima, che costringono a frenate improvvise. 

CHICHEN ITZA

Arriviamo a Chichen Itza nel tardo pomeriggio. Preferiamo quindi dedicarci alla ricerca di un albergo e rimandare la visita del sito all’indomani mattina.
Troviamo un grazioso hotel con bungalow tutt’attorno ad una bella piscina. C’è anche un ristorantino dove ci fermiamo a cena e per un dopocena fatto di birra e tequila.
A questo proposito, faccio un paio di scoperte interessanti. La prima è la birra XX (che qui pronunciano dos equis), davvero buona. E la seconda è la tequila, un liquore che non avevo mai assaggiato prima (non sono un amante dei superalcolici), ma che trovo davvero gradevole nella sua versione reposada.

La mattina dopo organizziamo la sveglia per poter entrare nel sito archeologico all’apertura.
La prima cosa che balza subito agli occhi è l’iconica figura del Castillo, la piramide forse più famosa tra tutte quelle Maya.
Alta anch’essa una trentina di metri, per fortuna è meno ripida di quella di Uxmal e ne affronto l’ascesa con leggermente meno timore.

Piramide di Kukulkan (El Castillo)

Anche questo parco archeologico è molto ampio, ma meno “selvaggio” rispetto ad Uxmal. Tutto è molto curato ed organizzato e si vede chiaramente che questo sia il sito Maya più visitato del Messico.

Ci aggiriamo tra imponenti resti, tra cui spicca El Caracol, un antico osservatorio astronomico incredibilmente simile a quelli attuali.

El Caracol

Il Tempio dei Guerrieri, una piramide tronca, circondata da un fitto colonnato, sulla cui sommità troneggia l’altare di Chac Mool, anticamente usato per sacrifici, anche umani.
Il campo per il Gioco della Palla, il più grande del centro America, nel quale si giocavano partite nelle quali la posta era la vita dei partecipanti.

Il gioco della palla
Chac Mool

COBA – TULUM

Riprendiamo il nostro percorso partendo alla volta di Tulum. Lungo la strada incontriamo il sito archeologico di Coba, che le guide consigliano di visitare. Siamo un pò incerti perché, non avendo un posto dove dormire, non vorremmo arrivare a Tulum troppo tardi.
Alla fine decidiamo di entrare e mai decisione fu più azzeccata. Il sito infatti è splendido, di gran lunga il più bello visitato nel nostro viaggio. In larga parte lasciato allo stato selvaggio, con la vegetazione che si insinua tra le rovine creando degli intrichi altamente suggestivi.

Anche qui c’è un’alta piramide sulla quale devo salire, nonostante l’ascesa sia resa difficoltosa dai gradini sconnessi.

Purtroppo abbiamo poco tempo per completare la visita e con un’altra oretta di viaggio arriviamo a Tulum e iniziamo subito la ricerca di un posto dove dormire.
Prima di partire avevamo sentito parlare delle famose cabanas sulla spiaggia e ci sarebbe piaciuto dormire in una di queste, ma dopo aver battuto praticamente tutto il litoraneo, non riusciamo a trovarne una libera, anzi, per dirla tutta non troviamo proprio alcun posto libero.
La scelta di voler affrontare un viaggio all’avventura, senza nessuna prenotazione, non si sta rivelando molto saggia.

Finalmente, mentre scendono le prime ombre della sera, troviamo una stanza molto spartana in un alberghetto molto spartano. La prendiamo al volo ed andiamo a riposare sulle amache sistemate in riva al mare dove, in compagnia di un paio di Dos Equis, ci godiamo uno splendido tramonto.

A cena ci fermiamo a mangiare in un ristorantino poco distante, dove assieme agli antipasti ci viene portato un piattino con due peperoncini. Il mio amico, che da sempre si vanta di essere un grande mangiatore di cose piccanti, incautamente ne mette in bocca uno intero. Lo spettacolo a cui assisto è singolare quanto divertente, il suo volto (e non sto esagerando) dapprima sbianca di colpo, poi assume un colorito rossastro, quindi volge al blu, al punto che comincio a temere stia per avere un infarto o qualcosa di simile. Quando si riprende, con un filo di voce riesce a dire soltanto “piccantino…”.

TULUM

Il sito di Tulum è a dir poco spettacolare, non tanto per i suoi resti, quanto per la sua collocazione. Posto di fronte ad un mare dalle mille sfumature di azzurro, in contrasto con il verde della vegetazione ed il bianco abbagliante della spiaggia, si comprende come sia uno dei luoghi più visitati del Messico.
Lo si capisce anche dalla folla che lo assale e che purtroppo stavolta, causa un inaspettato colpo di sonno mattutino, non siamo riusciti ad evitare con il nostro abituale ingresso all’apertura.

La spiaggia di Tulum è magnifica, quindi decidiamo di tornare da queste parti a fine viaggio per fare qualche giorno di mare puro.
Risalendo la costa verso Cancun, ci fermiamo a mangiare qualcosa a Playa del Carmen e ne rimaniamo colpiti favorevolmente. Potrebbe essere questa la nostra meta di fine viaggio, anche perché, giunti a Cancun dopo pochi chilometri, fuggiamo a gambe levate inorriditi dall’accozzaglia di albergoni che si susseguono senza soluzione di continuità lungo la costa.

RITORNO A MERIDA

Riprendiamo la strada di ritorno a Merida, dove lasceremo l’auto. Ripercorriamo quindi le lunghe, ipnotiche, ma anche affascinanti strade interne, fermandoci qua e là per rinfrescarci  in qualche baretto sperduto.

La monotonia sta prendendo il sopravvento, quando la nostra auto, dopo aver emesso un paio di inquietanti singhiozzi, si ferma in mezzo alla strada. Ci guardiamo in faccia e quasi all’unisono esclamiamo “la benzina…”.
E’ bene dire che all’inizio del viaggio il noleggiatore ci aveva avvertito che l’indicatore della benzina non funzionava bene, quindi avremmo dovuto regolarci con i chilometri fatti per non rimanere a secco.
Ce ne siamo dimenticati… !

Siamo nel bel mezzo del nulla ai margini di un paesino sperduto. Senza grandi aspettative tiriamo a sorte su chi debba andare in esplorazione per cercare della benzina e ovviamente… tocca a me.
Per fortuna, dopo pochi passi, da una delle casette esce un bambino che mi chiede insistentemente “gasolina?”. Faccio cenno di si e lui sparisce, per poi riapparire dopo poco accompagnato da alcuni signori con una tanica in mano.
Suggestionato dai tanti racconti letti sulla delinquenza imperante nel Messico, mi vedo già fatto fuori, bruciato e sotterrato in qualche fossa nei dintorni, quando il signore con la tanica, dopo averla piazzata sul tetto dell’auto, con un tubo flessibile comincia a fare scendere la benzina nel nostro serbatoio.
Finita l’operazione, rifiuta i nostri soldi e con un largo sorriso ci saluta calorosamente.
Commossi, riprendiamo il viaggio.

A metà del percorso arriviamo nella cittadina di Valladolid dove, nella piazza principale, oltre ad una bella cattedrale, c’è un mercatino pittoresco. Donne in abiti tradizionali vendono… abiti tradizionali riccamente decorati. Mi viene una mezza idea di riportarne uno a mia moglie, ma desisto subito pensando che probabilmente me lo tirerebbe dietro.
Dopo aver lasciato la nostra auto nelle mani di Emiliano, un ragazzino che si è offerto di sorvegliarla, mangiamo in un ristorante con vista cattedrale.

Ripartiamo quindi alla volta di Uayma, dove ci aspetta una visione a dir poco bizzarra. L’ ex convento di Santo Domingo, infatti, è una costruzione davvero originale con i suoi ricami bianchi e rossi.

Proseguiamo quindi per Izamal, detta la Ciudad Amarilla (città gialla) ed è davvero facile capirne il perché…
La città è gialla. Tutta gialla. E sotto il cielo azzurro il contrasto cromatico è davvero intenso.

Prima di prendere una decisione sui nostri prossimi giorni di riposo al mare, facciamo una tappa a Progreso, una cittadina vicino Merida affacciata sul Golfo del Messico.
Ci basta un breve passaggio per farci voltare velocemente i tacchi. Il posto è triste e semideserto (forse non è la stagione giusta) e non riveste alcuna apparente attrattiva. Ormai la decisione è presa, Playa del Carmen sarà la nostra prossima meta.
Proseguiamo quindi per Merida, dove arriviamo in serata e, dopo aver riconsegnato l’auto, facciamo i biglietti del pullman che ci porterà di nuovo in Quintana Roo e torniamo ad alloggiare nell’hotel già utilizzato giorni addietro.

PLAYA DEL CARMEN

Durante la notte vengo colto da un violento attacco di gastroenterite. La “vendetta di Montezuma”, che mi aveva risparmiato finora, mi travolge sul finire del viaggio.
Sono così distrutto che dico al mio amico di partire senza di me per Playa del Carmen, lo raggiungerò il giorno dopo se mi sarò un pò rimesso. 
Per fortuna la mattina dopo sto leggermente meglio ed affronto il lungo viaggio dormendo per tutto il tragitto.

Depositati con armi e bagagli davanti al terminal marittimo, io rimango a guardia delle valigie mentre Marco va in perlustrazione alla ricerca di un hotel.
Rientra trionfante dopo un paio d’ore, durante le quali mi appisolo spesso sul bordo della strada come un barbone, dicendo di aver trovato forse gli ultimi posti rimasti liberi in tutta la città, in un albergo quantomeno bizzarro.

Incuriosito, ma anche leggermente preoccupato, seguo il mio amico fino all’albergo e mi ritrovo nella capanna di Tarzan nella foresta equatoriale… L’hotel è infatti composto da una serie di capanne in legno a due piani immerse in una fitta vegetazione, senza aria condizionata, ma con una pala a soffitto che smuove aria calda con un fastidioso rumore ritmico.
Non sono in condizione di polemizzare e mi butto sul letto per riprendere un pò di forze.

La sera usciamo a scoprire la vivace vita notturna della città. Tutto è molto turistico, locali, negozi, ma molto più a misura d’uomo dei terribili albergoni della vicina Cancun.
Il mio intestino è ancora sottosopra e non posso usufruire degli invitanti happy hour che i locali offrono un pò ovunque, per la felicità di Marco.

I successivi tre giorni li passiamo mollemente sdraiati sulla bella spiaggia o a sorseggiare birre e tequila (Marco) e spremute di frutta (io) nei locali in riva al mare.

Dopo una decina di splendidi giorni passati all’avventura come due ragazzini, ritorniamo al freddo inverno di casa nostra. Ma con un leggero sorriso stampato sulla faccia…

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